collana: i fuoricollana a cura di Gianfranco Alfano
disegno in copertina: Quintino Scolavino
formato:cm 13×26
cod. ISBN: 978.88.88413.61.7
pagine: 64
euro: € 15,00
ottobre 2008
il testo pubblicato
martedì 26 settembre 2006
Autobahn
In macchina, andando al lavoro, ascolto Paolo Fresu e la rassegna stampa di Radio 3. E scrivo. Approfitto delle code ai semafori o dietro i rulli compressori che rifanno le strade, dietro i lenti di pedale che si guardano intorno, indugiando sotto un verde molto atteso o in curva alle rotonde, senza osare di spingersi in corsia come supposte.
Scrivo alla velocità della luce con un occhio alla coda e un occhio alla punta e quasi non guardo mentre scrivo. Perché le parole le vedo e le imparo a memoria.
Il mio nome è Merri e fino a ieri credevo di avere trent’anni; oggi ho imparato che ne ho quarantaquattro, perché ho perso il lavoro.
Allora farò lo scrittore.
Pubblicherò un romanzo di successo, che piace a tutti, che vende. Perché il mestiere lo conosco e scrivere è un mestiere. La letteratura no. È il frutto di un talento coltivato, che viene su col tempo.
Il talento ti lavora ai fianchi, ti butta al tappeto e conta gli anni. Quando la conta supera i trenta ci vuole tenacia e ci vuole più coraggio. Viene un moto di ribellione: si spara al contatore, ci si infila la canna in bocca e dopo il colpo c’è poco altro da fare. Si scrive.
sabato 7 ottobre 2006
Voyeur
Verso le quattro del mattino io e la mia ragazza facciamo una sosta sopra Montecarlo. C’è un piccolo spiazzo dove ti puoi fermare con la macchina e osservare la città dall’alto con tutte le sue luci. Guardarla da questa distanza, nell’intimità dell’ora ancora buia, ancora silenziosa, ancora deserta, te la fa sentire come fosse una cosa tua. La controlli tutta quanta con un solo sguardo e inizi a pedinare le luci che si muovono nell’autodromo in salita e in discesa tra i palazzi. Io sono un voyeur.
C’è guardone e guardone. Io traggo il maggior piacere nel guardare quando l’immagine mi racconta una storia permettendomi di rubarne dei frammenti. Coi frammenti ci costruisco una cosa che si dispiega nel tempo e si muove nello spazio; gli dò lo spessore di una vita che d’ora in poi mi appartiene. Quello che guardo tramuta in pura informazione per essere manipolato.
C’è guardone e guardone. Può anche capitare che io mi commuova o non riesca a sostenere una visione più a lungo di qualche secondo. Mi succede come in “American beauty” quando il figlio del militare che poi si ammazza parla sopra una delle sue video-riprese e dice, più o meno: «A volte c’è così tanta bellezza nel mondo che non riesco ad accettarla. Il mio cuore sta per franare».
Dopo la sosta a Montecarlo proseguiamo per Nizza o Cap-Ferrat o Cannes. Dipende dalle volte. Prendiamo alloggio, ci assestiamo, facciamo un bel riposo e la mattina, dopo una colazione che basta pure per il pranzo, andiamo in giro. Io mi prendo l’impegno di scattare delle foto: ho la macchina digitale di mia madre e ho il mio cellulare con la fotocamera. Mi piace fotografare, ma è un impegno. Il perché è presto detto: se fotografo non guardo. Non c’è contraddizione; c’è un bel paradosso. Io quasi mi vergogno quando mi fermo a fotografare. Infatti scatto molto mentre cammino; tanto meglio se sono in macchina. Mi vergogno a farmi vedere che sto fissando l’obiettivo su qualcosa. Il voyeur guarda di nascosto. Ma per tornare al paradosso, quando cerco l’inquadratura dentro il mirino o il display, tutto il resto sparisce e io me lo perdo. Se mi guardo in giro ho sempre una grande intersezione delle linee: tracce di eventi di passaggio che hanno sempre: almeno un punto tra loro intersecante e almeno un punto tangente il mio perimetro visivo. L’inquadratura, al contrario, annienta le relazioni dinamiche sparando un colpo secco sulla porzione selezionata e riclassifica il mondo in soggetti.
Pingback: parole come lame – reading+performance+video (Fotografia Europea 2011) | Mariangela Guatteri